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SCUOLA FREUD – ISTITUTO FREUD - VIOLENZA SULLE DONNE COME ARMA DI GUERRA

2 marzo 2018

SCUOLA FREUD – ISTITUTO FREUD

Tecnico Tecnologico Informatico – Tecnico Economico – Liceo Economico Sociale

VIOLENZA SULLE DONNE COME ARMA DI GUERRA: ARRIVANO LE PRIME CONDANNE

 

15 mila donne sono violentate ogni anno nella Repubblica democratica del Congo. Una tattica di guerra che ha fatto vittime anche tra tante bambine. Finora i colpevoli di questo reato hanno avuto un'impunità assoluta. Ma una recente sentenza ha emesso le prime condanne all'ergastolo.

Il 13 dicembre 2017, a Kavumu, undici persone sono state condannate all’ergastolo dalla Corte penale del Sud Kivu per «crimini contro l’umanità attraverso la violenza carnale» al termine di un processo unico nella storia della Repubblica democratica del Congo. In carcere è finito, infatti, il deputato provinciale Frederic Batumike e dieci dei suoi miliziani, accusati di aver violentato quarantasei giovani tra bambine e ragazze, tra il 2013 e il 2016.  Scuola Tecnica Paritaria Milano

Il fatto che dei responsabili di violenza sessuale sulle donne siano stati portati in un’aula di tribunale e poi condannati nella Repubblica democratica del Congo, ha reso il 13 dicembre una data che la comunità internazionale spera possa essere l’inizio di una lotta contro la violenza carnale nell’ex Zaire. Dove, stando alle stime delle Nazioni Unite, 15 mila donne l’anno sono vittime di stupro. Detto in un altro modo: ogni mezz’ora una donna è violentata nello Stato dove un tempo regnava Re Leopoldo II. Una situazione aggravata, almeno fino a pochi giorni fa, dalla totale impunità garantita ai responsabili di questi reati.

Per comprendere il dramma della violenza sulle donne nello Stato africano però non è possibile limitarsi alla lettura delle stime. Bisogna guardare in faccia l’orrore. Cosa che è possibile fare addentrandosi nelle piste di terra rossa che fendono le foreste e raggiungono innanzitutto il piccolo villaggio di Kavumu.

Una strada dissestata, che poco a poco si trasforma in un torrente fangoso, e una giungla totalizzante: questo è il paesaggio che accompagna il viaggio fino al paese congolese. Una nebbia sottile, satura di fantasmi e paure, si solleva dai campi circostanti e, camminando tra le abitazioni aleggiano un’inquietudine assoluta e un senso di terrore onnipresente. Si percepisce nei volti dei bambini che si nascondono nelle proprie case, in quelli delle madri che chiamano i figli appena vedono arrivare degli stranieri. Qua c’è stato l’orrore e sembra di vedere affiorare ancora le orme di quella tragedia che ha marchiato in modo indelebile, con la stigmate del male, il Congo in generale e il villaggio di Kavumu in particolare.

46 bambine tra due e undici anni violentate da uomini armati

Dal 2013 al 2016 un incubo, difficile anche solo da immaginare, si è verificato nel silenzio assoluto nel piccolo paese rurale del Sud Kivu, a poche decine di chilometri da Bukavu. Durante questi tre anni 46 bambine, dai 2 agli 11 anni, sono state prelevate di notte, condotte nella foresta e poi ripetutamente violentate da uomini armati.

Il territorio è infestato da gruppi ribelli e gli autori dell’atrocità, in questo caso, risultano essere stati i miliziani che fanno capo al deputato provinciale Frederic Batumike che ora, insieme ai suoi uomini, è in carcere con una condanna all’ergastolo.

Da quando i colpevoli sono stati arrestati, queste atrocità sono finite, ma i danni che hanno fatto sono impossibili da cancellare», dice Zawada Bagaya Bazilianne, consulente legale per la fondazione Panzi a Kavumu.Istituto Privato Freud

La domanda che ci stiamo ponendo è: perchè hanno fatto tutto questo? La risposta verso la quale converge le indagini è che questi abusi siano stati commessi per adempiere dei rituali magici». Torturare, violentare e uccidere per assicurarsi salute, potere, ricchezza e invincibilità. A spiegarlo è sempre l’assistente legale, che seduta nel suo studio aggiunga: Uno stregone, con ogni probabilità, ha detto a questi uomini che, se avessero abusato di una vergine, avrebbero ottenuto la protezione dai proiettili in battaglia e l’immunità o la cura dall’Aids. Che se avessero bagnato il terreno con il sangue di queste ragazze allora lì sarebbe comparso dell’oro. E altre follie di questo tipo cui, però, in molti crede. E questo è il risultato».

Violentate, stuprate, seviziate: il racconto dell’orrore

E poi, ancora: «Le bambine non solo sono state violentate, ma sono state persino torturate. Alcune sono state seviziate con oggetti taglienti. Potete capire l’orrore di quello che è avvenuto?».

Zawada Bagaya Bazilianne aggiunge che «in questo crimine sono state coinvolte delle autorità, ma noi non possiamo fermarci. Dobbiamo andare avanti e far si che i colpevoli non restino impuniti».

Quello che è accaduto a Kavumu è l’apogeo di un orrore che dilania da anni la Repubblica democratica del Congo: la violenza sessuale. Penetrata come arma di guerra all’interno del Paese soprattutto durante la seconda guerra congolese nel 1999, poi è dilagata divenendo una piaga inarrestabile, che distrugge fisicamente e psicologicamente le donne e annienta il tessuto sociale delle comunità.

E ancora nel piccolo villaggio di Kavumu si incontrano storie di altre donne vittime di abusi.

Antoniette Musaliwa (il nome, come tutti quelli delle vittime riportati in questo articolo, è di fantasia) è stata sposata a un soldato delle Fardc, con cui viveva nell’accampamento di Walikale, fino al giorno in cui i ribelli dell’Fdlr hanno assaltato la postazione e suo marito e i militari sono fuggiti. Lei è stata fatta prigioniera dai miliziani. Per oltre un mese è stata la “schiava” sessuale dei guerriglieri e, una volta che è riuscita a scappare, ha scoperto di essere incinta. E dopo l’aborto però l’avrebbe attesa un’altra dolorosa scoperta: essere ripudiata dal marito. E così oggi per sopravvivere e mantenere i suoi figli, abbandonati anch’essi dall’ex sposo, vende carbone al mercato e lavora nei campi per una manciata di franchi congolesi.

Analogo è anche il racconto di Claudine Catemgura. La quale, però, dopo aver vissuto per mesi in un campo di ribelli ed essere stata costantemente violata, una volta riuscita a fuggire, non solo ha appreso di essere stata abbandonata dal marito, ma anche di aver contratto l’Hiv. Ora, da sola cerca di pagare la scuola ai suoi quattro figli, facendo delle trecce ai capelli e lavorando al mercato del paese.

Una missionaria accoglie orfani figli di vittime di abusi

Dalle campagne di Bukavu ai campi profughi di Goma, ovunque, in tutto il Kivu, si incontrano storie di donne abusate e poi ripudiate dai familiari e dalla comunità. Ma, pur a fronte di tanti stupri, pochissime sono le strutture e le persone che cercano di combattere contro il dilagare del problema. Una di queste persone è la suora francescana Georgette Tshibang, missionaria, che a Goma ha aperto l’orfanotrofio Tulizeni, dove accoglie i bambini di strada e quelli abbandonati perchè figli di donne vittime di abusi.liceo economico sociale

All’interno del centro la religiosa ospita anche ragazze madri. Come Beatrice, che ha diciotto anni e una grave malformazione fisica. Si presenta camminando appoggiata a un bastone, con suo figlio Akilimali che le stringe la gonna con la mano.

La ragazza, durante la guerra del 2012, che ha visto scontrarsi i guerriglieri dell’M23 contro le Fardc, è rimasta isolata nel suo villaggio a causa dell’handicap che le ha impedito di fuggire. Solo grazie a un vicino che l’ha trovata da sola nella sua capanna e l’ha portata in un campo profughi di Goma, è riuscita a scappare dai combattimenti. Ma, una volta arrivata nella tendopoli di Mugunga, quando pensava di essere al sicuro, l’incubo si è invece materializzato. Più uomini, vedendola sola e indifesa, hanno atteso che si recasse a fare degli acquisti fuori dalla tendopoli e poi l’hanno violentata.

Subiscono la violenza carnale e sono ritenute colpevoli

Ad accogliere Beatrice, curarla e ad aiutarla, oltrechè ad accettare Akilimali, figlio suo e di quell’abuso, è stata suor Georgette. Che oggi racconta:

«In questi tre anni di lavoro all’orfanotrofio e nel campo profughi di Mugunga ho conosciuto più di 200 casi di donne e 74 casi di bambine vittime di abusi. La violenza sessuale in Congo nasce come arma di guerra e poi si è diffusa nella società in modo epidemico. I danni che provocano non sono solo fisici, ma anche sociali. Le donne vittime di violenza sono, infatti, considerate colpevoli».

La missionaria aggiunge poi che «sebbene sia la donna a portare avanti la società congolese, a lavorare nei campi, a fare il carbone e a consumarsi di lavoro, se è stuprata, viene considerata colpevole di aver ceduto alla tentazione o di non essersi ribellata o non aver preferito la morte all’abuso. E per questo viene ripudiata dalla famiglia e dalla comunità. L’argine contro tutto ciò è che ci sia più educazione e che ci sia un vero impegno politico, nazionale e internazionale, nel far cessare i conflitti qua in Congo».

Denis Mukwege, il medico che «ripara le donne»

Se suor Georgette conduce, la sua battaglia dalla sponda di Goma del lago Kivu, il dottor Denis Mukwege invece lo fa dal Panzi Hospital. È uno dei nomi più illustri di tutto il Paese, quello del medico che «ripara le donne», come è stato ribattezzato in un film internazionale.Scuola Superiore Secondo Grado Freud

Il chirurgo, candidato al Nobel per la pace nel 2014 e vincitore nello stesso anno del premio Sakharov, cammina all’interno dell’ospedale. E dopo aver fatto un intervento parla così nel suo ufficio: «Quando ha iniziato a diffondersi lo stupro in Congo non eravamo preparati e non avremmo mai immaginato che sarebbe diventata una piaga così durevole nel tempo».

Le ferite psicologiche del reato di violenza

Una delle ragioni dell’isolamento delle donne oggi è che a causa delle fistole causate dalla violenza, soffrono di incontinenza e anche per questo vengono allontanate. Il dottor Mukwege dice: «Noi facciamo interventi di ricostruzione chirurgica, ma il problema non è solo fisico, ma anche mentale. Ed è per questo che abbiamo creato un team di psicologi. Anche se per mettere fine a questa piaga occorre combattere l’impunità e serve che tutti gli strati della società comprendano cos’è la violenza sessuale e facciano forza comune per sradicare questo male. Ci vorrà tempo, molto tempo, ma credo ce la si possa fare».


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