18 aprile 2023
Oggi più che mai è necessaria una profonda riflessione, per ascoltare, capire e cercare di comprendere il mondo dei ragazzi. Convenzionalmente, il termine generazione indica l’insieme degli individui che nascono e crescono in uno stesso periodo, sperimentando le medesime influenze culturali, sociali, politiche, economiche. Un tempo, la durata delle generazioni si fissava in “trent’anni”, presupponendo che in un secolo se ne avvicendassero più o meno tre, ma dalla fine della Seconda Guerra Mondiale le cose sono cambiate radicalmente.
In Italia e in Europa sono state individuate cinque generazioni. In particolare, dal 1926 al 1945, si ricorda la “generazione della ricostruzione”, o generazione silenziosa, protagonista del secondo dopoguerra, in cui l’urgenza era ricominciare da zero; dal 1946 al 1964, la “generazione dell’identità”, con la riscoperta di una forte appartenenza ideologica e politica, in cui l’Italia conosce una fase di intenso sviluppo e l’inizio di un nuovo settore, il terziario e si è in presenza di una crescita senza precedenti, una situazione di benessere e fioritura economica che contraddistingue la generazione di questi anni, i Baby boomers, tardivi digitali e pionieri delle prime tecnologie informatiche; dal 1965 al 1980, la “generazione di transizione”, o generazione X, segnata dal passaggio tra due millenni e dalla recessione, in cui la nuova rivoluzione industriale vede la nascita e lo sviluppo di elettronica ed informatica e dove personal computer, telefono cellulare, Internet, che rivoluzionerà via via il mondo del lavoro e le relazioni sociali, cambiano le modalità di comunicazione; dal 1981 al 1995, la “generazione del millennio”, i Millennials, o generazione Y, cresciuta nell’era dell’euro e della cittadinanza europea, in cui le modalità di comunicazione si incrementano con la messaggistica istantanea e i social media; dal 1996 al 2015, la “generazione delle reti”, o generazione Z, i veri nativi digitali, interdipendenti dal web e dai social, sia in negativo che in positivo, iperconnessi, i nativi digitali tecno-compulsivi. I giovani rappresentano sempre per la società e per la sua componente adulta e anziana la continuità generazionale. Per definire una generazione, tuttavia, non basta l’età: occorre, soprattutto, la condivisione di una comune socializzazione, nel senso ampio del termine, cioè come esperienza di valori, di partecipazione e di impegno. Una generazione si definisce, inoltre, in rapporto alle precedenti, sia a quella immediatamente vicina, sia a quella dei “padri” e degli insegnanti: queste due generazioni contribuiscono, con i loro orientamenti, a caratterizzare la generazione più giovane.
Anche per quanto riguarda lo scarto generazionale, cioè la distanza tra le generazioni e i relativi conflitti, si registrano mutamenti significativi. Infatti, sotto molti aspetti, le ultime generazioni si assomigliano sempre di più per quanto riguarda gli orientamenti di fondo, i contenuti culturali, le idee e altro. Padri e figli di oggi sono molto più simili rispetto a un tempo. Si può, pertanto, pensare che lo scarto generazionale stia generalmente diminuendo, almeno sotto il profilo ideale. Se questo, per certi aspetti, può essere ritenuto positivo, nel senso che tra adulti e giovani c’è un terreno comune su cui incontrarsi, per altri aspetti può risultare problematico, dal momento che erano proprio lo scarto generazionale, l’alterità, la diversità che in passato, spesso, costituivano la molla per la crescita verso l’autonomia e la specificità delle nuove generazioni e per la loro elaborazione di un progetto di vita. I giovani di oggi apprezzano positivamente la famiglia, la scuola, il lavoro. La famiglia ha un posto molto importante nella loro vita e secondo alcuni autori ciò è dovuto a una rivalutazione, soprattutto di tipo affettivo, della dimensione orientata al privato, come reazione al clima di profonda incertezza esistente nel mondo esterno. Anche la scuola è ritenuta importante dai giovani, soprattutto nella determinazione del loro futuro professionale. Infine, anche il lavoro è un aspetto importante nella realtà giovanile ed è considerato in termini più pragmatici che reali: il lavoro è una realtà concreta, per ottenere reddito e sicurezza. Tuttavia, questi apprezzamenti positivi di famiglia, scuola, lavoro non portano ad una perfetta integrazione dei giovani nel contesto sociale.
Il quadro generale della realtà giovanile è molto più complesso e problematico: anche i giovani sono toccati direttamente dall’incertezza tipica della fase di transizione che si sta attraversando e tendono a riempire lo stato di attesa in cui sono collocati e a gestire i propri dubbi, attraverso una continua realizzazione di esperienze parziali e frammentarie, adattandosi ad una situazione in continua trasformazione.
Camilla Federica Piol (3C-LES)