15 aprile 2016
L’Italia è il secondo paese manifatturiero d’Europa. Per rimanere tale non può trascurare l’innovazione ma ha necessità di un piano nazionale approvato.
Prima fu il turno della macchina a vapore, poi delle catene di montaggio per la costruzione di massa, in seguito dei computer e oggi d’internet e della stampa 3D. Da quando i processori si sono impadroniti delle fabbriche, i processi produttivi sono diventati sempre più veloci, flessibili ed efficienti. E da quando la rete ha fatto il suo ingresso sui mercati, il ritmo è accelerato, esprimendo l’idea d’interconnessione già implicita nel concetto di globalizzazione.
Riuscire a cavalcare l’onda incombente della quarta rivoluzione industriale, fatta di cloud e big data, oggetti intelligenti e comunicanti, automazione e robotizzazione, significherebbe generare nuovo lavoro e nuova ricchezza, insieme a una ritrovata stabilità economica. L’adozione del cosiddetto smart manufacturing nel nostro Paese appare tuttavia frenato da fattori di ambiente e organizzativi.
Le principali barriere sono, da una parte, le ridotte dimensioni delle imprese nostrane e i limiti di cultura digitale nelle decisioni per l’adozione delle tecnologie, e, dall’altra, l’assenza di un programma nazionale di sviluppo, diffuso e condiviso.
“Considerando però che l’Italia è la seconda manifattura europea e che il comparto manifatturiero rappresenta con il suo indotto il 20% della ricchezza del Paese, sarebbe sperabile da parte delle istituzioni un’attenzione su questi temi simile a quella dimostrata dall’esecutivo tedesco con il suo programma nazionale” rileva Giovanni Miragliotta, responsabile di ricerca dell’Osservatorio Smart Manufacturing, impegnato in prima linea nello studio di soluzioni innovative e nella sensibilizzazione delle istituzioni sul tema.
Un impegno che sarebbe in grado di accelerare e amplificare i segnali positivi provenienti dal fronte della ripresa. Secondo l’Istat infatti la produzione industriale italiana è tornata a crescere (+0,5%) dopo il calo registrato nei mesi estivi, e l’ha fatto in modo più deciso rispetto all’autunno scorso (+2,9%).
Nei primi dieci mesi del 2015 la crescita media è stata dell’1,1%: un trend trainato dal comparto automotive (+46,8%), dai prodotti petroliferi raffinati (+15,9%) e farmaceutici (+15,8%). Settori capaci di controbilanciare i cali nei campi dell’attività estrattiva (-7,8%), del tessili/abbigliamento (-3,6%) e delle industrie alimentari, bevande e tabacco (-1,4%).
In questa situazione “emerge l’assenza di una visione strategica, sia a livello di singola impresa sia di Paese”, prosegue Miragliotta. “Fare Smart Manufacturing non è adottare questa o quella tecnologia, ma saper ‘orchestrare’ il digitale per trasformare i processi industriali com’è accaduto nel terziario avanzato”.
In Italia manca, insomma, un programma nazionale dedicato. Un progetto di sviluppo strutturato e capillare, che solo in parte può essere sostituito da iniziative di stampo consortile sviluppatesi dal basso. I mercati, inoltre, non amano attendere, e se l’Italia vuole davvero conservare il ruolo di seconda manifattura d’Europa non può permettersi di rimanere indietro.