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SCUOLA FREUD - ISTITUTO FREUD - IL BURATTINAIO UN DIO COLPEVOLE

27 aprile 2022

SCUOLA FREUD – ISTITUTO FREUD

Tecnico Tecnologico – Tecnico Economico – Liceo Economico Sociale

IL BURATTINAIO, UN DIO COLPEVOLE

A cura di Anita Camuffo

 

"Cancellami, fammi diventare il tuo burattino" - Fake love  

Gabriel giaceva tra le coperte di quel letto enorme. Era un'ora intera che cercava di convincere il suo cervello a donargli quel poco riposo che meritava, senza grandi risultati. Proprio quando, finalmente, anche il suo corpo decise di arrendersi alla sua volontà, un rumore lo ridestò. Il suono di un tappo che viene aperto si propagò per la stanza buia. Quello bastò per mettere all'erta il cervello di Gabriel che, a malincuore, disse addio al tanto bramato sonno.  

Dopo quello che era successo quella stessa mattina, il ragazzo era più che sicuro che quel suono fosse tutt'altro che casuale. Entrambi i ragazzi, distesi al suo fianco nel letto, erano svegli. Il giovane si diede dell'idiota per non averci pensato prima: era così maledettamente ovvio che i due lo avrebbero punito quella stessa notte; talmente scontato che non gli era passato per la testa.  

A Gabriel venne in mente la prima vera punizione che i due ragazzi gli avevano inflitto. La prima volta che quel dolore gli aveva attanagliato la gola e il cuore, la prima volta che avrebbe voluto piangere fino a svenire, la prima volta che aveva sentino il bisogno di strapparsi la pelle ormai contaminata dalle mani sudicie dei due. La prima volta che li aveva serviti con le sue stesse carni. La prima di molte altre volte.  

Il ragazzo avrebbe solo voluto amare il tocco dei due, avrebbe voluto bramarlo come se ne dipendesse la sua stessa vita eppure, inevitabilmente, lo detestava; il solo pensarci lo faceva rabbrividire. Al contrario di allora, però, adesso Gabriel sapeva bene cosa fare. O almeno era questo che si ripeteva. 

 

Di nuovo silenzio. Il ragazzo affondò la faccia nel cuscino intento ad addormentarsi velocemente. Per quello che durò meno di un secondo si illuse che ignorare i movimenti che avvenivano al suo fianco avrebbe automaticamente fatto scomparire il pericolo.  

"Sei stanco Gabriel?" disse il ragazzo alla sua destra. La sua voce non presentava alcuna traccia di sonno. Ciò diede a quella specie di seme di timore, impiantato nel cuore di Jungkook la possibilità di crescere abbastanza da non permettere al ragazzo di addormentarsi. Questa volta, però, non era intenzionato a dargliela vinta: doveva resistere.  

"Lasciami dormire, per favore" biascicò in risposta. Forse avrebbe dovuto impuntarsi di più, risultare più autoritario, più spaventoso. Ma l'unico spaventato era lui. Dopotutto, stava cercando di battere un tornado puntandogli contro una pistola.  

 

Quella giornata gli aveva completamente prosciugato le energie e, fin dalla mattina, aveva desiderato solo mettersi a letto e dormire; perciò, si sarebbe battuto fino all'ultimo per godersi la calma prima della tempesta, totalmente inconsapevole del fatto che la tempesta fosse già arrivata.  

"Lasciarti dormire? Gabriel devo per caso ricordarti cosa è successo questa mattina?" 

"Hansen per favore, sono tanto stanco". C'era una punta molto chiara di disperazione nella sua voce. Non riusciva a tenergli testa, qualcosa lo induceva a sottomettersi, servendo la fonte principale del suo dolore.  

"Oh sono sicuro che tu non sia così stanco" sussurrò Darth alla sua sinistra, anche lui sveglio come il compagno. Un tono di risentimento, mascherato da rabbia, si poteva udire nella sua voce. La schiena di Gabriel fu attraversata da un brivido di terrore. Così fece la prima cosa che gli venne in mente: serrò gli occhi e affondò la testa nel cuscino, immobilizzandosi. Hansen fece una risatina sommessa intuendo le intenzioni dell'altro. Gabriel era ben consapevole che quello era il modo peggiore per affrontare la situazione, ma sapeva anche che solo un intervento divino avrebbe potuto salvarlo.  

Gabriel sentì un agitarsi di coperte. Qualcosa si poggiò su di lui, qualcosa di caldo e bagnato iniziò a strusciarsi sulla sua natica destra, poi sulla sinistra. Le mani dei suoi "fidanzati", ricoperte di quello che il ragazzo ipotizzò fosse lubrificante, iniziarono a esplorare le sue parti intime. Il cuore di Gabriel fece un tuffo e, con riluttanza, constatò che il suo corpo reagì velocemente, un calore tutt'altro che benevolo si espanse nel suo inguine. Un groppo si formò nella gola del giovane.

  

Nel silenzio della notte si sentiva solo lo strusciare delle mani dei due sul suo corpo, che portava fin troppe cicatrici per la sua giovane età. L'unico altro rumore che si poteva udire erano i suoi respiri pesanti, carichi di ansia, paura e, soprattutto, umiliazione. Gabriel non voleva essere toccato in quel modo da loro. Quelle mani intrise di desiderio e crudeltà gli facevano girare la testa, ogni punto del suo corpo in cui finivano veniva marchiato a tempo indefinito. Eppure, per quanto la sua mente soffrisse, il suo corpo reagiva, si godeva quei tocchi e ne desiderava sempre di più, diventando indipendente dal suo cervello, incontrollabile.  

"B-basta" disse agitandosi un poco. I due, prevedibilmente, lo ignorarono. Poi con una goccia di coraggio, probabilmente scaturita dall'istinto di sopravvivenza, si ritrasse al tocco dei due, sedendosi di scatto. 

Si sentì un sospiro rabbioso.  

"Gabriel direi che è arrivato il momento di raccontare a Darth perché devi essere punito", disse Hansen trascinandolo per un polso. Lo fece sdraiare e lo girò su un fianco, facendo in modo che il suo viso fosse davanti a quello di Darth, leggermente illuminato dalla luce della luna. A quell'affermazione seguirono secondi di interminabile silenzio. Hansen, intanto, aveva ripreso a toccarlo. Quella volta, però, non si fermò lì: affondò un indice dentro di lui, che si fece scappare un leggero verso di sorpresa. Una lacrima scese, silenziosa, sulla sua guancia. Era stanco di tutto quello, così stanco del dolore.  

"Non ancora" disse Darth, prendendo il polso di Hansen per allontanarlo dal suo corpo. 

 

"Voglio prima sentire cos'è successo" concluse facendo un cenno in direzione di Gabriel, dandogli il consenso di parlare.  

Il più piccolo sospirò, sapeva di non poter scappare dal suo destino: gli era stato dimostrato così tante volte. Quindi, perché ancora sperava in un futuro migliore? Perché non faceva nulla per aiutarsi? Quand'è che aveva deciso di non salvarsi? Quand'era diventato il nemico di se stesso?  

"Stamattina potrei... essermi comportato un po' male con Hansen" disse con voce piccola, evitando lo sguardo dell'altro.  

"Gabriel come lo devi chiamare?" Darth si avvicinò al suo viso e gli strinse il braccio. Il cuore di Gabriel accelerò spaventosamente. 

"P-padrone…" rispose con disgusto. Nulla gli dava più fastidio del conato di vomito che provava nel chiamare i due in quel modo e aveva ormai dimenticato quanti colpi si era preso per non averlo fatto. Ma quella ribellione ostinata era ormai un lontano ricordo per Gabriel che, ad un certo punto, si era solo arreso. 

"Cos'hai combinato?" lo ridestò Darth.  

"Ho alzato la voce e l'ho colpito in faccia".  

"Per cosa stavate discutendo?" Gabriel non rispose. 

"Senti, ho avuto una giornata difficile oggi…" E si avvicinò al suo viso tanto da far scontrare i loro nasi "...non ti conviene farmi arrabbiare più di quanto io lo sia già, chiaro?" La voce del ragazzo era spaventosamente calma.  

Gabriel pianse lacrime silenziose. Avrebbe fatto di tutto per poter semplicemente sparire dalla faccia della terra, andarsene per sempre. Ogni giorno che passava i suoi pochi ricordi felici si facevano sempre più offuscati e, ormai a stento, riusciva a ricordare la vita che aveva prima. Vagamente, a volte, gli veniva in mente di un se stesso più piccolo, di una madre, di un padre e del suo migliore amico. A volte gli capitava anche di sognare, di stare tornando a casa da scuola con il suddetto migliore amico, di essere stato colpito alla testa e di essersi svegliato in un furgone e di aver sentito due voci piuttosto familiari parlare di "traffico sessuale". Ma da molto tempo Gabriel aveva smesso di dare importanza a questi scenari, lasciandoli scivolare sempre di più dalle sue mani. 

Quello che era ben stampato nella sua mente era il batticuore che sentiva ogni volta che vedeva Darth e Hansen. Non era però il batticuore che avrebbe dovuto sentire: niente farfalle nello stomaco, nonostante i due ragazzi si fossero spesso definiti "i suoi fidanzati". Gabriel non capiva se fosse normale che i suoi fidanzati gli dessero solo un costante senso di umiliazione e paura, accompagnata da odio, tanto odio, così tanto da strapparsi i capelli per questo. Un sentimento così intenso che gli fa venire voglia di mettere fine a tutto quello una volta per tutte. A dire la verità una volta era arrivato molto vicino a chiudere: quella volta in cui Darth si era addormentato sul divano, il giorno in cui Hansen lavorava la notte, Gabriel aveva preso il taglierino che teneva nascosto in un buco del muro nel bagno, dietro il lavandino, e silenziosamente si era avvicinato a Darth, arrivando a sfiorare con la lama il suo collo, poi... poi niente, aveva ritratto l'arma, si era chiuso nel bagno e l'aveva usata contro di sé. Come poteva essere stato così stupido? Come aveva osato anche solo immaginare di fare del male a Darth, al suo padrone?  

Non poteva, mai avrebbe potuto fargli qualcosa di brutto, perciò si era semplicemente punito. Certo, non aveva più il suo prezioso taglierino, ma se lo meritava, dopotutto. Non era stato bravo, l'unica cosa che meritava era una punizione.  

 

Nonostante questo, qualcosa gli si scatenava dentro,  ogni volta che i due giocavano con lui, quel familiare senso di rabbia, di ingiustizia, che così tanto lo faceva soffrire, che gli faceva sperare così intensamente in un futuro migliore, consapevole del fatto che a malapena esistesse un futuro per lui.  

"Volevo... uscire" Gabriel singhiozzò. Darth gli alzò la testa, costringendolo a guardarlo negli occhi. 

"Ma davvero? E cosa mai vorresti fare una volta fuori? Magari trovarti qualcun'altro da scopare. Cosa c'è Gabriel, non ti bastiamo più?" Darth non riusciva a sopportare il fatto che il minore continuasse a non ascoltarlo. Amava Gabriel, lo amava così tanto che sapeva di doverlo proteggere dai pericoli del mondo esterno, da tutte le persone cattive che esistevano nel mondo. Eppure Gabriel sembrava non volerlo capire, sembrava non accorgersi quanto lui è Hansen facessero per lui, quanto dovesse essergli grato di averlo salvato dalla vita misera che stava vivendo quel suo amico. Lo stesso che, anni prima, era quasi riuscito a scappare da loro insieme a Gabriel. Quel ragazzino che, Darth ne era sicuro, si stava ancora pentendo delle sue azioni. Visto che Gabriel non sembrava capace di capire, aveva deciso lui al suo posto, che prima o poi si sarebbe abituato a tutto quello.  

Probabilmente Darth non riusciva ad immaginare quanto l'animo umano potesse spingersi lontano e, ovviamente, non si immaginava neanche che stesse per scoprirlo.  

 "No, io non intendevo quello" disse Gabriel mettendosi sulla difensiva. 

"Pensi che potrei crederci? Il sesso è l'unica cosa a cui pensano le puttane come te". Umiliazione pura. Gabriel non avrebbe dovuto esserne sorpreso, ma per qualche motivo questo lo colpì, lo colpì molto più profondamente di come gli fosse mai capitato. Lui non era una puttana, lui non era interessato al sesso, a lui faceva schifo il sesso, come gli faceva schifo il suo corpo, come gli facevano schifo i ragazzi che aveva davanti, come gli faceva schifo essere così orridamente sottomesso ai due che giorno per giorno non facevano altro che macchiarlo nel profondo dell'animo con le loro viscide mani e i loro viscidi intenti, che lo facevano sentire sempre più sporco, sempre più sbagliato. Più di quanto il ragazzo avesse mai sopportato, più di quanto il suo corpo e il suo cuore potessero reggere, lo stesso più che lo aveva portato a graffiarsi i genitali e a strapparsi i capelli solo per far tacere quel più che ogni giorno lo convinceva che se lo meritava, che lo voleva, che era tutto quello a cui avrebbe potuto aspirare nella vita, quello che lo spingeva a ringraziare i due ragazzi di amarlo anche per tutto lo schifo che era e che faceva, per la putridità di cui era fatto la sua anima. Eppure in un posto remoto del suo cervello Gabriel lo sapeva bene, sapeva che non era così, sapeva che non era lui ad aver sbagliato, che non era lui ad essere sbagliato. Ma i due burattinai erano così bravi nel loro lavoro, come potrebbe scappare da loro? I fili che lo muovevano erano costantemente nelle loro mani. 

 

Forse però... un modo c'era per scappare dalla vita che il destino gli aveva riservato, una piccola speranza sottoforma del coltello preferito di Hansen, che Gabriel aveva visto quel pomeriggio essere riposto nel cassetto a fianco a Darth, poco distante da lui ma ancora irraggiungibile.  

Gabriel fece un grande respiro, aveva bisogno di calmarsi e pensare lucidamente, un solo passo falso e la sua unica speranza sarebbe sfumata. No, non poteva farlo accadere.  

Lucido e vigile, aveva un piano.  

Con il cuore in gola si buttò sopra Darth iniziando a baciarlo con foga. Sentì un conato di vomito risalirgli dalla gola e i suoi occhi si offuscarono. Eppure si aggrappò all'altro e decise di ignorare il suo cervello, che gli urlava di fermarsi immediatamente. Hansen spalancò gli occhi e fece un verso esaltato.  

Gabriel aspettò meno di un secondo per calare i pantaloni di Darth e iniziare a strusciarsi sul suo inguine. Il velo di lacrime sui suoi occhi era pressoché invisibile nell'oscurità. A nessuno dei tre era mai importato realmente cosa Gabriel volesse, quindi perché iniziare a preoccuparsene in quel momento?  

Il panico lo assalì. Si staccò di colpo, cosa stava facendo? Come pensava di poterlo fare? Come gli era potuta venire in mente un'idea del genere? Non doveva, non avrebbe dovuto, sarebbe bastato stare al suo posto e lasciare ai due il compito di muovere i suoi fili. Fece un respiro profondo, non poteva mollare adesso. Darth lo stava guardando confuso. E il coltello era così vicino e, ad un tratto, lo voleva così tanto. Si ricacciò dentro tutte le emozioni in cui stava annegando, abbassò la testa fino alla vita di Darth e prese lentamente il suo membro in bocca, sperando mentalmente che bastasse per distrarlo dal suo momento di incertezza.  

Con ogni gioia funzionò, il maggiore lo fece alzare e si tolse completamente i vestiti. Gabriel gli si mise a cavalcioni e si preparò davanti a lui. Non poteva fermarsi a pensare per davvero, non poteva permettere alle sue insicurezze di rovinare tutto, perciò lasciò che il dolore offuscasse la sua mente mentre faceva scivolare il membro di Darth dentro di sé, centimetro dopo centimetro. Non poteva fermarsi, non quando la così tanta agognata libertà sembrava così vicina, così concreta. Si avvicinò al viso di Darth e lo baciò di nuovo.  

 

I suoi sensi si affievolirono, era troppo per il suo corpo, per la sua mente, ma doveva tenere duro, doveva fare almeno questo per se stesso.  

Così si sdraiò su Darth e cominciò a muovere scompostamente i fianchi mentre allungava una mano verso il comodino. Gemette sonoramente per coprire lo scricchiolio del cassetto che si apriva e, con l'altra mano, si mise a muovere la mano velocemente sul membro di Hansen, per dare ai due qualcosa di convincente da guardare. Non dovette cercare molto, il coltello gli comparve proprio sotto la mano, lo prese velocemente e richiuse. Ce l'aveva. Finalmente, avrebbe potuto essere libero.  

Il cuore accelerò e non riuscì più a contenere le lacrime. L'adrenalina gli assordò i sensi. Mai si era sentito così vivo in vita sua, una sensazione così forte per chi aveva sempre vissuto nella miseria. Quindi permise al suo corpo di rilassarsi. Si allontanò dall'altro e alzò il coltello sopra la sua testa. Il tempo rallentò mentre sferrava il primo colpo direttamente sul petto di Darth. Sentì il suo corpo fare resistenza. Si rese conto in quel momento che pugnalare qualcuno non era così semplice come gli avevano fatto credere i film. O forse, il suo corpo era davvero troppo debole dopotutto, da quant'è che non mangiava un pasto completo? Passava le giornate su quello stesso letto come un burattino senza fili.  

 

Non poteva distrarsi, però, non in quel momento. Perciò optò per far scorrere il coltello su tutto il torso di Darth, lasciando un grande taglio proprio al centro del suo petto. Ma non era abbastanza, non era affatto abbastanza, doveva fargli male. Doveva pagare per tutto quello che gli aveva fatto passare. La visione di Gabriel divenne rossa mentre alzava il coltello per colpire di nuovo, poi un'altra volta e un'altra ancora. Una soddisfazione mai provata prima lo fece sorridere mentre una bizzarra sensazione di calore si espandeva nel suo addome.  

Qualcosa lo fermò, gli strappò via il coltello e gli strinse i polsi. Tutto scomparve. Gabriel aprì gli occhi, senza neanche essersi reso conto di averli chiusi. Hansen lo stava tenendo fermo da dietro in un semi abbraccio. Darth, invece, era ancora sdraiato sotto di lui, sconvolto, pallido, sudato. Con la mano tremante teneva il coltello macchiato del suo stesso sangue. Ad adornargli il petto grandi tagli, sanguinanti ma non abbastanza profondi. 

Gabriel si immobilizzò. Questa non era la libertà che immaginava, non assomigliava affatto ad essa. Tutto il suo corpo cominciò a tremare, un peso enorme si posizionò sul suo petto e l'aria si fece improvvisamente rarefatta. 

Urlò.

Un urlo che nascondeva anni di abusi, di tocchi non richiesti, di pugni non meritati, di intere notti passate su un pavimento gelido. Un solo urlo per tutta la sua sofferenza, tutta la sua rabbia, tutta la sua paura. Un urlo che diceva solo una cosa: 'Non mi sono salvato'.

Finché la voce non finì, finché il fiato non smise di essere pesante e tutto tornò allo stato inerte di poco prima. 

"Uccidetemi" . Gabriel si abbandonò alle braccia dell'altro. 

"Uccidetemi!" ripeté. 

"Sono così stanco... per favore" singhiozzò rumorosamente. "Non posso farcela, non ci riesco. Uccidetemi e basta" i suoi respiri si fecero più irregolari. "Rendetemi il burattino senza vita che bramate così ardentemente. Non importa. Non voglio più soffrire, non posso più sopportarlo... vi prego" finì in un sussurrò. 

"Gabriel…" Hansen si avvicinò al suo orecchio "No".  

Come aveva potuto essere così ingenuo? 


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